Ciao a tutti, il post di oggi è veramente poco tecnico, ma proietta all’esterno un ambito del mio lavoro che da molti anni cerco di curare con la massima attenzione. Sbagliando e riuscendo come in tutte le cose.

Le tecnologie che un DevOps (parlerò di questo ambito perchè di mia competenza e userò questa terminologia cercando di racchiudere tutte le persone che lavorano in ambito Ops e che quindi si prendono cura di sistemi di esercizio) sono aumentate in modo esponenziale negli ultimi anni per ragioni che a mio avviso sono le seguenti:

  1. La presa di coscienza che l’open-source è un modello vincente ha giustamente incrementato il numero di progetti e di tecnologie da esprimere nelle nostre infrastrutture
  2. La digitalizzazione sempre più presente e quindi l’aumento di piattaforme da gestire
  3. Il mercato con le sue bizzarre regole che fa fluttuare professionisti da un’azienda all’altra in cerca di un miglioramento delle proprie condizioni di lavoro comprensibile e auspicabile per tutti

Vorrei soffermarmi sul tema delle condizioni di lavoro per espandere il tema e distaccarlo dalla questione puramente economica e declinarlo come insieme di stabilità, innovazione, retribuzione e soddisfazione nel lavoro svolto.

In termini pratici, evitando il tema economico in quanto punto critico per via della concorrenza tra i mercati e costi della vita diversi nei paesi dove le aziende risiedono, vorrei soffermarmi sul tema della soddisfazione lavorativa. Essa, a mio parere, è una scienza. E’ scienza perchè esistono formule diverse per tutti e solo tramite la sperimentazione possiamo appurare che vi è soddisfazione nel lavoro di tutti i giorni. Dovremmo misurare non solo l’uptime dei sistemi, ma anche la soddisfazione di chi è causa di un uptime dei sistemi stessi.

SAL periodici, percorsi di crescita sono strumenti utili. Ma nel day-by-day cosa avviene? Siamo sicuri che ai nostri tecnici facciamo spendere il loro tempo nel miglior modo possibile? Quali sono le motivazioni reali dietro il turn-over fisiologico di un’azienda? Bene, io credo che ancora non siamo in grado di musurare tale aspetto in quanto le ragioni sono spesso offuscate e a volte difficili da esprimere.

Tendiamo a volere rimanere in buoni rapporti con tutti e tendiamo a non lasciare memoria storica delle vere ragioni di una non soddisfazione lavorativa. Penso che sia necessario tenere sempre traccia di tutto:

  1. Si è speso nel miglior modo possibile il set di skill di un professionista?
  2. Il tuo tempo come è stato impiegato?
  3. Si è stati parte di un popolo o di una multitudo?

E’ proprio sul terzo punto che vorrei soffermarmi, la differenza tra popolo e multitudo.

Un filoso contemporaneo che seguo spesso fece durante un suo intervento un affondo sulla differenza tra popolo e multitudo. Popolo (in riferimento al δῆμος dell’antica grescia e inteso come organo deliberante) e multitudo che come esprime il nome è solo una quantità notevole, una massa).

Ebbene, lo sforzo più grande che deve fare chi gestisce grandi team è capire se si sta gestendo un popolo o una multitudo. Un popolo di professionisti è un organismo pensante che coopera al suo interno per deliberare scelte tecniche e operare sui campi in cui i vari sottoinsiemi di popolazione sono specializzati. Una multitudo, a mio avviso, è una potenza di fuoco che raggiunge lo stesso il risultato (proprio per via della sua grandezza) ma che andando avanti si consuma. Credo sia proprio così e credo che sia semplicemente un fatto di costi e di efficienza.

Un popolo di tecnici è efficiente, ha sicuramente un turn-over naturale, ma spende energia in modo controllato, mentre una moltitudo genera attrito, fa fatica e necessita di molto carburante che per i più cinici viene individuato nelle “persone”.

Credo sia errato identificare in questa fonte di energia solo le persone facenti parti del sistema finale che opera, in quanto dietro c’è tutto un mondo di persone che ha collaborato (vedi le HR, i tutor, i manager e tutti gli attori che hanno contribuito alla formazione e all’organizzazione dei team)

Ecco tale riflessione che volevo condividere in rete non esprime nulla di nuovo. Semplicemente rachiudere in poche parole un pilastro a cui dobbiamo fare sempre riferimento, ovvero non creare multitudo ma popoli.

Scusate per il post troppo serio!

Saluti